A 18 mesi dall'inizio della rivolta contro il suo regime, il presidente siriano Assad è troppo forte per essere sbalzato di sella e troppo debole per riportare l'orologio al 14 marzo 2011. Le condizioni per arrivare a una soluzione "accettabile" della crisi non sono solo punto di verificarsi. E così' si fa strada una "pazza idea". "Il regime siriano è dal lato sbagliato della storia". "Bahsar al-Assad ha le ore contate". È da circa un anno – cioè da quando la rivolta contro Assad ha palesemente assunto le fattezze di una guerra di prossimità che coinvolge a livello globale Usa, Russia e Cina e a livello regionale Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Iran – che coloro i quali "hanno già capito tutto" della crisi siriana profetizzano un'imminente caduta del "carnefice di Damasco". Con loro sommo rammarico, l'ex oftalmologo che sognava il camice bianco e si ritrovò invece ad indossare la divisa è ancora saldamente in sella. Torniamo a ripeterlo. Assad non cadrà. Anche perché gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di autorizzare una no-fly zone in Siria e tantomeno un intervento militare contro il regime. Considerando che per fare fuori il derelitto Gheddafi ci sono voluti sei mesi, anche nel caso di attacco armato le possibilità che Assad possa rimanere alla guida del regime non sarebbero poi esattamente infinitesimali. Nei mesi scorsi si è spesso puntato il dito contro il ruolo svolto da Russia e Cina. Il ragionamento più in voga vuole che sia il sostegno accordato da Mosca e Pechino al presidente siriano – oltre chiaramente alle armi fornite dall'Iran alla Siria attraverso lo spazio aereo iracheno e alle "consulenze" gentilmente offerte ad Assad dai pasdaran inviati appositamente in loco – a consentirgli di rimanere al potere. E fino a qui tutto bene (o quasi). [...]